18 FEBBRAIO 1987
SENTENZA DELLA CORTE DI
APPELLO DI FIRENZE, SEZIONE PENALE
(Omissis)
Con querela del 3 giugno 1986 Montagni Mauro, nella sua
qualità di presidente del consiglio di amministrazione della S.p.A. Telecentro
Toscana, effettuante la diffusione in ambito locale di trasmissione televisive
sul canale 64, lamentava l'esplicazione di attività di disturbo eseguita
mediante irradiazione sulla stessa frequenza di programmi televisivi da parte di
altra emittente privata a partire dal 27 maggio 1986 in dispregio al preuso
esercitato da oltre 4 anni su tale banda di frequenza da parte della propria
emittente, che - a causa delle dette interferenze - subiva effetti distruttivi
dei propri segnali. Precisava elio, a seguito di un accordo in data 23 marzo
1986, aveva ceduto alla soc. TV Internationale Milano, un ramo dell'azienda
comprensivo della cennata banda di frequenza e olio, attualmente, sul canale 64
trasmettevano a fasce orarie alternate, i propri programmi sia la propria
emittente olio TVI, con ripetizione da parte di quest'ultima del programma
estero di Telemontecarlo dalle ore 13 alle ore 01. Il querelante chiedeva
procedersi al sequestro delle apparecchiature dell'emittente «Canale 10» avendo
identificato nella predetta la società televisiva irradiante i segnali di
disturbo in iso-frequenza.
Si accertava che realmente
l'emittente indicata diffondeva i propri segnali sulla stessa frequenza
utilizzata da TCT e TMC disturbando gravemente le trasmissioni sino a renderle
inintelleggibili attraverso un normale televisore.
Il Pretore di Firenze, con decreto
del 3 giugno 1986, disponeva in via d'urgenza il sequestro delle apparecchiature
dell'emittente disturbante, che era eseguito il giorno successivo. Anche TV
Internazionale Milano sporgeva querela
contro il responsabile di Canale 10
lamentando l'oscuramento dei propri programmi e cioè la ripetizione delle
trasmissioni di Telemontecarlo.
A seguito di apposita istanza, il
Tribunale di Firenze, con ordinanza dell'11 giugno 1986, revocava il sequestro
delle apparecchiature di Canale 10, il cui rappresentante - Rocchi Egidio - era
tratto al giudizio del Pretore di Firenze per rispondere dei reati specificati
in rubrica.
In esito al dibattimento nel corso
del quale si costituivano parte civile sia il Montagni in rappresentanza di
Telecentro Toscana, sia Barsanti William, in rappresentanza di TV Internationale
Milano, ed era disposta perizia tecnica sulla natura delle onde radioelettriche;
il Pretore di Firenze pronunciava in data 17 giugno 1986 la sentenza il cui
dispositivo è sintetizzato in epigrafe.
Avverso tale decisione proponevano
tempestivo appello sia l'imputato che la parte civile Barsanti
William.
All'odierno dibattito il Rocchi ha
confermato il precedente assunto col quale ammetteva di sapere che sulla
frequenza in questione da anni trasmetteva TCT e da poco tempo anche TMC e che
ciò nonostante, aveva intrapreso ad irradiare i propri segnali sul canale 64
ritenendo che lo stesso fosse diventato res nullius perché la ripetizione del
programma straniero avveniva senza autorizzazione ministeriale e doveva quindi
considerarsi illecita sotto ogni aspetto, ed ha dichiarato, inoltre, di non
voler usufruire della recente amnistia.
Al termine del dibattito questa
Corte osserva: il primo giudice ha escluso che l'attività posta in essere dal
prevenuto possa essere ricompresa nell'ambito dell'art. 23 d.P.R. 29 marzo 1963,
n. 156 per il profilo che detta norma è applicabile solo al servizio pubblico
delle telecomunicazioni esercitato direttamente dallo Stato o indirettamente
attraverso privati concessionari, ma non anche alle emittenti private, sia che
ripetano programmi stranieri sia che diffondano propri programmi in ambito
locale; tuttavia ciò non impedisce - quando la materialità dell'azione cada
sulle cose, nella specie onde radioelettriche - che siffatta attività possa
ricadere nella previsione della norma di cui all'art. 635 cod. pen., attesa la
diversa consistenza strutturale dei due illeciti e la conseguente
inapplicabilità del principio di specialità, posto che, mentre caratteristica
peculiare della norma ex art. 23 citato è la natura pubblica del servizio
danneggiato, l'art. 635 cod. pen. ha più ampia e generica portata prevedendo
come reato qualsiasi fatto, che cagioni con le modalità indicate nella norma
stessa, un danno per le cose mobili od immobili altrui. E sotto questo diverso
profilo si è ritenuto nell'impugnata sentenza che l'emissione di segnali
contemporaneamente irradiati sulla stessa banda di frequenza da altri
utilizzata, abbia cagionato l'inservibilità delle altrui onde radio elettriche
allo scopo cui sono destinate con conseguente danno a cose altrui reprimibile ai
sensi dell'art. 635 cod. pen.
La delineata costruzione accusatoria
è stata censurata dall'imputato appellante, che si è doluto dell'«espansione»
operata dal Pretore della norma penale anzidetta in una materia disciplinata
compiutamente da norme penali speciali (e da norme amministrative
sanzionatorie), all'uopo richiamando i punti più salienti della normativa di cui
al d.P.R. n. 156 del 1973 (artt. 23, 195, 240, 402) prevedenti danni, disturbi
ed interferenze nel campo delle radiocomunicazioni, la cui violazione comporta
un sistema sanzionatorio penale ed anche amministrativo, talché sarebbe stato
violato «il principio di tassatività ed a maggior conforto del suo asserto per
cui «la commissione di interferenze non costituisce reato» ha richiamato anche
la legge 8 aprile 1983, n. 110 sulle interferenze riflettenti i servizi di
radionavigazione aerea sanzionata solo
amministrativamente.
Tali argomentazioni non possono
essere condivise.
A prescindere dal rilievo che per le
violazioni più gravi il testo unico delle disposizioni in materia di bancoposta
e di telecomunicazioni espressamente richiama proprio, sia pure quoad poenam,
l'art. 635, n. 3 cod. pen. (vedi detto art. 23) e riserva solo alle minori
violazioni l'applicazione di sanzioni pecuniarie ora depenalizzate, tale sistema
normativo esplica la sua efficacia soltanto nell'ambito del servizio pubblico
delle telecomunicazioni e non contempla le possibili violazioni mediante
interferenze commesse da impianti televisivi privati alle quali è inestensibile
ed inapplicabile in virtù delle esatte perspicue considerazioni svolte all'uopo
nell'impugnata decisione, che vanno qui pienamente condivise, sicché corretto si
palesa l'operato del primo giudice, che esistendone gli estremi - inquadra
siffatta attività nell'ambito del reato di danneggiamento ed esclude la
sussistenza dell'invocato principio di specialità. L'appellante, a maggior
suffragio della sua richiesta di assoluzione perché il fatto non è previsto
dalla legge come reato, formula l'ulteriore rilievo secondo cui, pur potendosi
in astratto ritenere «cose» le onde radio elettriche o comunque ad esse
equiparabili, e pur potendosi ammettere che le medesime siano suscettibili di
patire violenza, esclude -tuttavia - che le stesse possano costituire oggetto di
reati contro il patrimonio ed in particolare dell'ascritta imputazione di
danneggiamento. All'uopo richiamato l'art. 624 cod. pen. che considera cose
mobili anche l'energia elettrica ed ogni altra energia che abbia un valore
economico, il prevenuto trae la conseguenza che proprio la sedes materiae induce
a concludere che debba comunque trattarsi di energie suscettibili di furto e
quindi di sottrazione od apprensione da parte dell'agente e tali non sono le
«onde televisive», che per la loro natura, una volta emesse nell'etere, non
possono essere più controllate dall'emittente, né apprese, sottratte o distrutte
da chicchessia, a differenza dell'energia elettrica, che - com'è pacifico in
giurisprudenza - è suscettibile di essere oggetto del reato di
furto.
Tali deduzioni non sembrano
accoglibili.
Richiamati in primo luogo i principi
di ordine tecnico-scientifico espressi dal perito sulla natura, consistenza ed
altre qualità delle radio onde, indicati nell'impugnata sentenza e che qui
s'intendono integralmente trascritti, va chiarito - anzitutto - che l'espressa
equiparazione fatta dal legislatore dell'energia elettrica e di altre similari
energie al concetto di cosa mobile, non viene affatto in rilievo solo in
relazione al delitto di furto, come erroneamente assume l'appellante, pur se
compresa in detta norma specifica, ma anche in riferimento ad ogni altra norma
penale nella quale venga in considerazione il concetto di «cosa mobile», come
d'altronde chiaramente si evince dall'inciso « agli effetti della legge penale »
racchiuso nel capoverso dell'art. 624 cod. pen., e quindi anche in relazione al
delitto di cui all'art. 635 cod. pen. ove l'azione del reo danneggi l'energia
indipendentemente dal danneggiamento dell'impianto che la produce o la
trasmette. Orbene, non vi è dubbio che le interferenze deliberatamente cagionate
dall'imputato sulle onde radio elettriche prodotte dalle due emittenti in
questione, da ritenersi energia economicamente valutabile in quanto
costituiscono l'essenza delle prestazioni televisive, pur non cagionando una
modifica strutturale delle onde stesse, tuttavia ne snaturano profondamente la
funzione rendendo inservibile il segnale originario di cui la radio-onda è
vettore e sustanziano in definitiva un'azione di danneggiamento delle
elettro-onde altrui, che costituiscono creazione dell'impianto che le
genera.
L'appellante reitera nei suoi motivi
la richiesta, già respinta in primo grado, di assoluzione dal reato
attribuitogli in quanto non punibile ai sensi degli artt. 51, 52 e, comunque, ai
sensi dell'art. 59 cod. pen. All'uopo sostiene che - in virtù della
liberalizzazione operata dalla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 202
del 1976, che consentì l'installazione di impianti radiotelevisivi in ambito
locale senza concessione amministrativa e senza previa assegnazione di frequenza
di servizio, e del rilievo che la ripetizione del programma estero di
Telemontecarlo non è stata autorizzata ex art. 38 legge n. 103 del 1975, né
legittimata in via provvisoria dal successivo art. 44, per cui la relativa
attività costituisce illecito punito dall'art. 195 d.P.R. n. 156 del 1973 - la
situazione di interferenza creata dalla propria emittente deve risolversi a
favore di quest'ultima, che in sostanza ha esercitato un proprio diritto
nascente dall'utilizzazione della frequenza da altri abusivamente
occupata.
Orbene, a prescindere dalla
considerazione che l'illiceità penale della ripetizione di programmi esteri non
è stata giudizialmente accertata nel presente procedimento ed è ancora sub
iudice la sentenza pretorile del 9 dicembre 1986 di condanna, ex art. 195 d.P.R.
n. 156 del 1973, del titolare di TVI, essendo stata gravata da appello, il
preteso esercizio di un diritto vantato dal Rocchi, - che irradiando le
trasmissioni di «Canale 10» sul canale 64, mirava al fine di estromettere sia
TMC che TCT, onde appropriarsi del canale stesso, non appare legittimato, come
egli sostiene, dalla sentenza della Suprema Corte n. 1037 del 1986. Tale
decisione riguardava soltanto la risoluzione di un conflitto in sede petitoria
tra due emittenti per l'utilizzazione di un canale a suo tempo usato da una
delle due (SIT) per la ripetizione di un programma estero, e non è stata ivi
affrontata la posizione dell'impresa televisiva ripetitrice come TVI in possesso
di una pluralità di autorizzazioni provvisorie per altre località nazionali
ottenute ai sensi dell'art. 44 legge n. 103 del 1975 e comunque - il predetto
canale era utilizzato in via alternativa anche da TCT, le cui trasmissioni
televisive di programmi in ambito locale sono lecite, anche se prive di
autorizzazione e che indubbiamente vanta una situazione poziore rispetto al
«Canale 10».
Ne consegue che l'azione addebitata
al Rocchi si palesa del tutto sfornita di una causa giustificatrice ed il mero
interesse di fatto sottostante non può ricevere alcuna tutela giuridica - per le
violente modalità del suo esercizio.
Gli ulteriori rilievi formulati
dall'appellante in ordine al principio di specialità di cui all'art. 15 cod.
pen. nei confronti della diversa fattispecie p. e p. dall'art. 392 cod. pen. e
quelli relativi all'insussistenza di detto reato, non possono essere oggetto di
disamina in questa sede,- attesa l'assoluzione ampiamente liberatoria adottata
dal primo giudice in ordine alla sussistenza di siffatto reato, ovviamente
insuscettibile di rilievi da parte del prevenuto.
Non può nemmeno accogliersi il
subordinato motivo secondo cui le onde televisive non sono autonomamente
considerabili come res agli effetti dei reati contro il patrimonio in generale e
del reato di danneggiamento in particolare, e quindi non può configurarsi la
contestata aggravante con la conseguente dichiarazione di improcedibilità
dell'azione penale per difetto di valida querela.
A prescindere dalla considerazione
quanto alla querela di Telecentro Toscana - della sua piena validità essendo
stata proposta dal presidente della società previa delibera del consiglio di
amministrazione (vedi documentazione in atti) e dal rilievo che il giudice -
contrariamente a quanto opina l'appellante - è l'unico legittimato ad enucleare
nei fatti esposti dal querelante le ipotesi di reato ivi emergenti senza essere
ovviamente condizionato dal nomen iuris indicato dalla parte, ed analoghe
osservazioni possono prospettarsi per l'altra querela di TVI, nel caso dì specie
-comunque - va ribadita la sussistenza della contestata aggravante ex art. 61,
n. 7 cod. pen. con la conseguente procedibilità d'ufficio, sia perché le radio
onde vanno ritenute res rilevanti agli effetti penali, come dianzi si è esposto,
sia per le perspicue notazioni in ordine alla sussistenza della predetta
aggravante formulate nell'impugnata sentenza in maniera del tutto ineccepibile e
corretta.
Pertanto, il gravame proposto dal
Rocchi va respinto ed in conseguenza vanno integralmente ribadite le statuizioni
penali di condanna espresse nell'impugnata sentenza nei confronti
dell'appellante.
Quanto alle statuizioni di carattere
civile della predetta decisione, le conseguenze civilistiche derivanti dal
ritenuto reato di danneggiamento debbono essere circoscritte soltanto dal
risarcimento del danno, del quale il reato sia stato causa immediata e cioè il
danno diretto ed effettivo. Orbene, non vi è dubbio che le interferenze
deliberatamente attuate dall'imputato abbiano cagionato un'inservibilità
dell'onda elettrica portatrice del messaggio televisivo in relazione allo scopo
cui era destinata. Il relativo danno - a prescindere da quello mediato, che qui
non va considerato - s'identifica soltanto nella lesione di un bene (la radio
onda prodotta dalle apparecchiature delle due emittenti) indubbiamente
suscettibile di valutazione economica, il cui risarcimento, limitato solo alla
sua inutilizzabilità - in mancanza di parametri idonei a determinarne il costo
di produzione ed avuto pur riguardo al breve periodo in cui ebbero luogo le
incriminate interferenze - va determinato ex bono et aequo nell'importo di L.
100 mila da corrispondere dal Rocchi a favore di ciascuna delle parti
offese.
Va in tali sensi modificata
l'originaria statuizione del Pretore sia per quanto riguarda il quantum ora
determinato a favore della parte civile appellante Barsanti William, le cui
doglianze, in ordine alla ritenuta limitazione al solo danno emergente, non
vanno accolte, sia per quanto concerne il ristoro dei danni verso l'altra parte
civile Montagni Mauro, anche per costui ristretto nei limiti dianzi indicati,
con la conseguente esclusione per entrambi della rifusione delle spese sostenute
in questo grado del giudizio.
(Omissis).