17 GIUGNO 1986
SENTENZA DELLA PRETURA
CIRCONDARIALE DI FIRENZE, SEZIONE PENALE
Con querela in data 3 giugno 1986, Montagni Mauro, nella sua qualità di Presidente del C.A. della Società Televisiva privata «Telecentro Toscana, S.p.A. », effettuante la diffusione in ambito locale di trasmissioni televisive sul Canale 64, lamentava l'esplicazione di attività di disturbo eseguita mediante irradiazione sulla stessa frequenza di programmi televisivi da parte di altra emittente privata a fare epoca dal 27 maggio 1986, in dispregio al preuso consolidato da oltre 4 anni su tale banda di frequenza da parte della propria emittente, che subiva effetti distruttivi dei propri segnali. Specificava che, a seguito di un accordo in data 23 marzo 1986, aveva ceduto a T.V. Internationale Milano un ramo dell'azienda comprensivo della predetta banda di frequenza e che attualmente sul predetto canale trasmettevano, a fasce orarie alternate i propri programmi T.C.T. e T.V.L, con ripetizione da parte di quest'ultima del programma estero di Tele Montecarlo dalle ore 13 alle ore 01. Chiedeva procedersi a immediato sequestro delle apparecchiature di Canale 10 avendo individuato in tale emittente la Società televisiva irradiante i segnali di disturbo in isofrequenza.
A seguito di sopralluogo e di
contestuale esperimento giudiziario eseguito da questo Pretore in data 3 giugno
1986, si appurava che effettivamente una emittente dalla sigla Canale 10
trasmetteva sulla stessa frequenza d'onda utilizzata per l'irradiazione di
programmi con contestuali sigle T.C.T. e T.M.C. disturbando gravemente le
trasmissioni sino a renderle inintelleggibili attraverso un normale
televisore.
Con decreto in data 3 giugno 1986,
il Pretore in via d'urgenza disponeva il sequestro delle apparecchiature
dell'emittente disturbante.
In data 4 giugno 1986, il sequestro
veniva eseguito ad opera del Nucleo di P.G. dei Carabinieri, con conseguente
spegnimento del trasmettitore sintonizzato sul Canale 64 UHF da parte del Canale
10.
In pari data la difesa dell'imputato
avanzava istanza di dissequestro delle apparecchiature.
Con atto in data 4 giugno 1986 T.V.
Internationale Milano sporgeva altra querela nei confronti di Canale 10
lamentando l'oscuramento dei propri programmi e cioè la ripetizione delle
trasmissioni di Telemontecarlo.
In data 5 giugno 1986 venivano
sentiti in contraddittorio tra loro ai sensi dell'art. 300 cod. proc. pen., i
querelanti e il querelato sui fatti di cui alle lamentele.
Con ordinanza in data 5 giugno 1986,
il Pretore respingeva l'istanza di dissequestro delle apparecchiature avanzata
da Canale 10.
Con ordinanza in data 11 giugno 1986
il Tribunale di Firenze, adito per il riesame del decreto di sequestro e
dell'ordinanza pretorile di rigetto dell'istanza di dissequestro, revocava il
sequestro delle apparecchiature di Canale 10.
Con decreto di citazione in data 7
giugno 1986 il rappresentante legale di Canale 10 Rocchi Egidio, veniva tratto a
giudizio avanti questa Pretura per l'udienza del 17 giugno 1986 per rispondere
delle imputazioni di danneggiamento aggravato e continuato e di esercizio
arbitrario delle proprie ragioni.
Al dibattimento si costituivano P.C.
il sig. Montagni Mauro in rappresentanza di Telecentro Toscana e il sig.
Barsanti William in rappresentanza di T.V. Internationale Milano chiedendo, in
uno alla sua declaratoria di responsabilità penale, la condanna di Canale 10 al
risarcimento dei danni sofferti a causa delle interferenze
causate.
Interrogato l'imputato e udite le
parti offese in sede testimoniale, si procedeva a perizia dibattimentale sulla
natura, consistenza ed altre qualità delle onde radio elettriche, nominatosi
perito un ingegnere del C.N.R. addetto all’Istituto di micro-onde di
Firenze.
Esaurita la discussione, i difensori
di P.C. e il P.M. concludevano per la condanna dell'imputato, quantomeno in
ordine al reato di danneggiamento, e per la refusione dei
danni.
La difesa concludeva come da
verbale.
MOTIVI DELLA DECISIONE. - FATTO. -
Dalle dichiarazioni dell'imputato e dalle deposizioni testimoniali dei
querelanti, è emerso che:
1) a fare epoca dal 1981 sul Canale
64 (banda di frequenza 813-825 MgH), con irradiazione dal Monte Secchieta verso
le Province di Firenze e Pistoia, trasmette i propri programmi in ambito locale
l'emittente televisiva privata Telecentro Toscana;
2) in data 23 marzo 1986 la società
gestrice degli impianti ha ceduto il ramo d'azienda correlativo a detta banda di
frequenza alla società T.V. Internationale Milano S.p.A. che ha iniziato a
ripetere sul Canale 64 i programmi esteri di
Telemontecarlo;
3) T.V.I. Milano è in possesso di
autorizzazione provvisoria alla ripetizione dei programmi dell'emittente
monegasca (ai sensi dell'art. 44 legge n. 103 del 1975) per altre postazioni e
frequenze, esclusa quella in questione, per la quale non ha richiesto specifica
autorizzazione perché notoriamente il Ministero pp.tt. per difficoltà tecniche
non rilascia alcuna autorizzazione per l'esercizio di impianti ripetitori di
programmi esteri;
4) per accordo tra le due emittenti
citate, attraverso le medesime apparecchiature di diffusione e sulla stessa
banda di frequenza vengono irradiati a fasce orarie alterne sia i programmi di
T.C.T. che quelli di T.M.C. (ripetuti da T.V.I.), con uso promiscuo del
canale;
5) dal 31 maggio 1986 sullo stesso
Canale 64 ha iniziato a trasmettere propri programmi da postazione viciniore e
nello stesso ambito locale l'emittente televisiva privata Canale 10 Toscana
s.r.l. di cui Rocchi Egidio è responsabile legale;
6) la trasmissione in iso-frequenza
ha provocato interferenze tali alle irradiazioni televisive delle altre due
emittenti da non renderne più intelleggibili i segnali;
7) pur rendendosi conto dei disturbi
arrecati alle altre emittenti, Canale 10 ha proseguito nelle trasmissioni fino
all'ordine di sequestro degli impianti da parte del Pretore, riprendendole dopo
il dissequestro disposto dal Tribunale;
8) l’imputato Rocchi ha ammesso di
sapere che su tale frequenza da anni trasmetteva T.C.T. e da alcuni mesi anche
T.M.C. e di avere, ciò nonostante, intrapreso a trasmettere a sua volta sul
Canale 64 ritenendo che lo stesso fosse diventato una res nullius, perché la
ripetizione del programma straniero avveniva senza autorizzazione ministeriale e
doveva considerarsi illecita sotto tutti gli aspetti; a ciò si doveva aggiungere
il sensibile calo pubblicitario e di audience avvertito dalle altre emittenti
locali in connessione alla ripetizione di T.M.C. Consapevole che ogni diritto in
questo settore è conseguente all'uso. Canale 10 aveva iniziato a trasmettere sii
detto Canale 64 allo scopo di diventare titolare di un diritto all'uso della
relativa frequenza;
9) lo stesso giorno d'inizio delle
trasmissioni sul Canale 64. Canale 10 ha presentato un esposto penale alla
Pretura di Firenze denunciando l'abusiva ripetizione di T.M.C. ed ha intrapreso
azione civile contro T.C.T. per la rivendica del diritto all'uso della frequenza
(cfr. doc. in atti).
DIRITTO. - 1. Danneggiamento.
L'imputazione di danneggiamento è
stata prospettata sotto un duplice profilo, qualificandosi l'accusa nell'un caso
come danneggiamento di servizi di telecomunicazioni ai sensi del combinato
disposto degli artt. 23 d.P.R. n. 156 del 1973 e 635, n. 3 cod. pen. nell'altro
come danneggiamento delle onde radioelettriche e delle relative bande di
frequenza.
Per entrambe le tesi la condotta
contestata è unica ed è prospettata come irradiazione di segnali televisivi su
banda di frequenza già utilizzata da altre emittenti per diffondere le proprie
trasmissioni, commettendo il fatto su cose esposte per destinazione e necessità
alla pubblica fede e destinate a pubblica utilità (art. 625, n. richiamato
dall'art. 635, n. 3 cod. pen.).
1a. Sotto il primo profilo si rileva
quanto segue.
L'art. 23 d.P.R. n. 136 del 1973
recita: «Chiunque esplichi attività che rechi in qualsiasi modo, danno ai
servizi postali e di telecomunicazioni od alle opere ed oggetti ad essi inerenti
è punito ai sensi dell'art. 635, n. 3 cod. pen.».
Tale norma estende indubbiamente la
tutela ordinariamente prevista per le cose mobili ed immobili ai «servizi di
telecomunicazione» ed alle opere ed agli oggetti a questi inerenti. Ove le
fattispecie concrete contengano tutti gli elementi propri delle norme di cui
all’art. 23 d.P.R. citato e di cui all'art. 635 cod. pen. può affermarsi che, in
base al principio di specialità di cui all'art. 15 cod. pen. trovi esclusiva
applicazione la norma di cui all'art. 23 d.P.R. n. 156 del 1973: con la
conseguenza che, nell'ipotesi che questa non risulti violata, non potrà
applicarsi sussidiariamente la norma di cui all'art. 635 cod.
pen.
Occorre, quindi, esaminare la
struttura della norma speciale di cui all'art. 23 citato.
Quanto al soggetto destinatario
della tutela.
E’ fuor di dubbio che il termine
«servizio di telecomunicazioni», di per sé, non implica la natura pubblica del
soggetto esercente.
La parola servizio, nella sua comune
accezione giuridica di attività volta a fornire prestazioni ad un numero
indeterminato di persone, non è significativa né di pubblico né di privato ove
l’attività non sia oggetto di pubblico monopolio.
Per quanto riguarda la materia delle
radiodiffusioni, al di là della generale affermazione di principio contenuta
nell'art. 1 del d.P.R. n. 156 secondo cui appartengono in esclusiva allo Stato
(nei limiti previsti dallo stesso d.P.R.) i servizi di telecomunicazioni ,
notasi che fin dall'origine il principio soffriva eccezione per quanto riguarda
gli impianti ripetitori privati di programmi televisivi esteri e nazionali (art.
1, comma 2 d.P.R. cit.); inoltre, a seguito della nota sent. n. 202 del 1976
della Corte costituzionale, altra deroga al monopolio statale fu introdotta a
favore delle emittenti private diffondenti propri programmi in ambito
locale.
Con ciò che, secondo tali premesse,
potrebbe considerarsi servizio di telecomunicazioni, oltre a quello pubblico
svolto dalla concessionaria statale, anche quelli privati svolti dalle emittenti
in ambito locale e dalle imprese ripetitrici programmi
stranieri.
Considerazione che appare confortata
dal fatto che il libro quarto del t.u. pp.tt., trattando dei «servizi di
telecomunicazioni» ricomprende anche la disciplina di quei servizi svolti da
privati dietro concessione od autorizzazione ministeriale. Complesso di
circostanze, queste, da cui sarebbe desumibile l'ambivalenza (pubblico e
privato) del termine «servizio di telecomunicazioni» usato dalla legge all'art.
23. Con la conseguenza che anche un servizio privato di telecomunicazioni
sarebbe tutelabile in base alla predetta norma nei confronti degli autori di
attività esplicate in suo danno.
Peraltro, tale interpretazione
appare urtare con la complessiva ratio del t.u. pp.tt., ove, nella sua
formulazione originaria, l'esplicazione di servizi di telecomunicazioni è
testualmente riferita ai servizi pubblici (cfr. artt. 25 e 26), e la relativa
attività svolta dai privati è definita come «esercizio di impianti di
telecomunicazioni» (cfr. artt. 1, comma 2 e 183 d.P.R. n. 156) e l'esplicabilità
di attività di telecomunicazioni da parte dei privati era prevista in via
eccezionale e in conseguenza di abilitazione
amministrativa.
Ciò induce inevitabilmente a far
ritenere che la più intensa tutela penale fosse riservata, nelle intenzioni del
legislatore, al servizio pubblico di telecomunicazioni, ricomprendendosi
implicitamente in questo anche quello svolto dal privato in regime di
concessione, la cui imputabilità è comunque riferibile al soggetto pubblico
secondo i principi generali in materia.
Restavano fuori dalla particolare
tutela, all'epoca. senz'altro gli impianti ripetitori di programmi stranieri
gestiti da privati, nonché, a maggior ragione, quelli privati in qualunque
ambito emessi.
La successiva «liberalizzazione»
delle emittenti private operata dalla Corte Cost. con la richiamata sent. n. 202
mediante l'espunzione dalla legge di quelle parti degli artt. 1 e 183 che ne
vietavano implicitamente l'esercizio in ambito locale, non vale a dotare di
ultrattività la norma di cui all'art. 23 che originariamente doveva ritenersi
prevista per il solo servizio pubblico.
Ciò, invero, comporterebbe
l'applicazione per similitudine di rapporti e non per necessità logica di una
disciplina particolare a casi non espressamente considerati: cioè applicazione
analogica di legge penale (vietata dall'art. 14 delle preleggi) e non
interpretazione estensiva.
Devesi, pertanto, concludere nel
senso che l'art. 23 d.P.R. n. 156 del 1973 è applicabile solo al servizio
pubblico di telecomunicazioni, esercitato direttamente dallo Stato o
indirettamente attraverso privati concessionari, ma non anche alle emittenti
private, sia che ripetano programmi stranieri, sia che diffondano propri
programmi in ambito locale.
La non ricomprensibilità del danno
ad un «servizio di telecomunicazioni» (inteso nel senso generico inizialmente
considerato) privato nella fattispecie astratta di cui all'art. 23 d.P.R. n. 156
del 1973 non esclude peraltro che tale fatto non possa integrare la fattispecie
generale di cui all'art. 635 cod. pen., quand'anche la materialità dell'azione
cada sulle stesse «cose» cioè sulle onde radioelettriche. Ciò perché la diversa
struttura dei due reati impedisce l'operatività del principio di specialità (e,
quindi l'inapplicabilità della norma di cui all'art. 635 cod. pen. in difetto
dei presupposti di quella di cui all'art. 23 cit.), posto che caratteristica
essenziale della struttura normativa dell'art. 23 d.P.R. n. 156 è la natura
pubblica del servizio danneggiato, che nell'art. 635 cod. pen. non è richiesta
in via esclusiva.
Quanto sopra esime il giudicante
dall'esame delle altre eccezioni sollevate dalla difesa e cioè quelle relative
all'esistenza di una norma speciale (artt. 240, 398, 402 d.P.R. n. 156 del 1973)
contenente sanzione depenalizzata applicabile in via esclusiva ai sensi
dell'art. 9 legge n. 689 del 1981, e quella relativa alla illiceità della
ripetizione di programmi esteri senza autorizzazione comportante
inqualificabilità della relativa attività come servizio per difetto di
presupposto legale, essendo le stesse superate dalle già svolte considerazioni
esaustive in merito.
1b. Sotto il secondo profilo si
rileva quanto segue.
Quanto all'elemento materiale del
reato.
L'art. 635 cod. pen. punisce come
danneggiamento il fatto di chiunque distrugga, disperda, deteriori o renda in
tutto o in parte inservibili cose mobili o immobili
altrui.
L'art. 624, comma 2 cod. pen.
statuisce che agli effetti della legge penale si considera cosa mobile anche
l'energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore
economico.
Occorre stabilire se
l'inintelleggibilità dei segnali televisivi irradiati da un'emittente televisiva
privata per la contemporanea irradiazione di segnali incompatibili effettuata
sulla stessa banda di frequenza integri una situazione penalmente tutelabile ai
sensi dell'art. 635 cod. pen.
Ritiene il giudicante che il quesito
debba avere risposta positiva, nel senso che l'interferenza causata alle altrui
trasmissioni con emissioni di segnali che rendano le altrui onde radioelettriche
inservibili allo scopo cui sono destinate integri danno a cose altrui
reprimibile ai sensi dell'art. 635 cod. pen.
Precisato preliminarmente che in
esito alle verifiche giudiziali si è accertato in fatto come la trasmissione
televisiva operata da Canale 10 sulla stessa frequenza già utilizzata da T.C.T.
e da T.V.I. sia stata idonea a rendere inintelleggibili le trasmissioni di
queste ultime (cfr. verbale di sopralluogo in atti) occorre ora verificare se
tale effetto sia stato provocato mediante danneggiamento di cose altrui o di
energie economicamente valutabili, alle prime equiparate ex
lege.
Il fisico del C.N.R. udito in sede
peritale ha affermato inequivocabilmente i seguenti
principi.
1) le trasmissioni televisive
avvengono mediante la diffusione da parte dell'emittente di onde radioelettriche
in una banda definita. Le radioonde sono vere e proprie energie elettriche e
fungono da veicolo del segnale video appostovi dall'emittente mediante
impressione alle stesse di un determinato messaggio tramite un processo di
modulazione. Il segnale utilizzato dai sistemi di radiodiffusione è
caratterizzato da: a) emissione di onde elettromagnetiche; b) sovrapposizione
dell'informazione sulle stesse;
2) la frequenza è una caratteristica
coessenziale alle stesse onde radioelettriche, non potendosi ipotizzare onde
senza frequenza; essa è una caratteristica delle onde e permette di distinguerle
e individuarle da altre onde elettromagnetiche;
3) per selezionare le varie gamme di
radiofrequenze, lo spettro elettromagnetico è diviso in bande; a sua volta
l'apparecchio ricevitore è costruito in modo da essere sensibile alle frequenze
di un'unica banda per volta e di escludere tutte le altre;
4) la trasmissione radio avviene nel
seguente modo: ciascun trasmettitore emette onde magnetiche in una banda
definita; il processo di ricezione consiste nel selezionare (sintonizzare) una
particolare banda fra le tante trasmesse dalle varie stazioni, e riceverne i
segnali relativi;
5) l'interferenza è dovuta al fatto
che quando due segnali arrivano con la stessa frequenza sulla sintonia del
ricevitore, le informazioni si sovrappongono. La situazione dell’interferenza
nell'etere è analoga a quella che si verifica gettando due sassi in uno stagno a
breve distanza l'uno dall'altro: i cerchi di onde creati da entrambi gli
spostamenti d'acqua, incontrandosi si modificano
reciprocamente.
Altrettanto accade nell'etere, dove
la successiva irradiazione di onde sulla stessa banda di frequenza cambia le
originarie informazioni.
Dal punto di vista del contenuto
informativo, il fatto che sia presente un secondo segnale sulla stessa banda di
frequenza rende inservibile il segnale originario, nel senso che, con
particolare riferimento alle televisioni, non possono più recuperare le
informazioni dell'uno distinguendole da quelle dell'altro se non con un processo
sofisticato e non sempre possibile di ricostruzione e separazione delle
originarie.
Da quanto sopra se ne trae la
conclusione che l'interferenza rende inservibili e quindi danneggia le onde
radioelettriche e il segnale da esse trasportato.
Le onde radioelettriche sono energie
(elettriche) valutabili economicamente sol che si pensi che in esse consiste
l'essenza fisica delle prestazioni delle aziende televisive, eliminando o
sopprimendo le quali viene meno la possibilità di rendere ricevibili i programmi
trasmessi.
L'esistenza delle radioonde e delle
relative frequenze (che ne costituiscono elemento coessenziale) è obiettiva e
autonoma rispetto all'apparecchio trasmettitore che le ha generate, nel senso
che, una volta emesse, esse si propagano autonomamente e liberamente nell'etere
indipendentemente dal trasmettitore e sono autonomamente aggredibili e
danneggiabili per effetto di attività esterne
(interferenze).
E’ fuor di dubbio, quindi, che le
stesse siano cose mobili fisicamente apprezzabili e
danneggiabili.
Né il fatto che siano liberamente
emesse nello spazio può indurre a considerarle res derelictae, stante la loro
specifica destinazione alla ricezione che le rende suscettibili di possesso
(cfr. Cass., Sez. Un., 3 dicembre 1984. n. 6340, in Foro it., 1984, 2953) da
parte dell'emittente anche dopo la loro diffusione per la perseveranza di un
interesse alla loro integrità.
Riguardo all'altruità della cosa,
giova rilevare (vedi perizia) che le elettroonde costituiscono creazione dello
strumento che le produce, allorché si tratta di onde radiotelevisive, e che per
il diritto penale si ha altruità tutte le volte che l'oggetto dell'azione
delittuosa non è di proprietà dell'agente o nella di lui autonoma
detenzione.
L'irradiazione di trasmissioni
televisive (onde radioelettriche) sulla stessa frequenza già usata per le
proprie trasmissioni da altra emittente con causazione di interferenze,
risolvendosi nel danneggiamento delle altrui energie economicamente valutabili
(onde radioelettriche altrui), integra l'elemento materiale del delitto di
danneggiamento.
In ordine all'aggravante dell'avere
commesso il fatto su cose esposte per destinazione e per necessità alla pubblica
fede, la ricorrenza della stessa nell’ipotesi studiata emerge chiaramente da
quanto già riportato, posto che l'onda radioelettrica è destinata
necessariamente a viaggiare nello spazio ove è aggredibile facilmente da
chicchessia per l'impossibilità fisica di fornirle adeguato riparo da
interferenze altrui.
Invero, la maggior tutela penale
apprestata alle cose esposte alla pubblica fede si fonda sulla considerazione
che le cose predette rimangono alla mercé di ogni attività di aggressione,
perché non sono protette da alcuna forma di custodia e risultano, quindi,
garantite soltanto da un presunto sentimento di rispetto del pubblico verso la
proprietà altrui (Cass. 5 marzo 1956, Coletta, in tenia di
sottrazione).
Sussiste l'aggravante, inoltre,
sotto la prospettazione della destinazione delle cose (onde radioelettriche
portanti i segnali televisivi) a pubblica utilità perché, essendo comunque le
trasmissioni televisive private destinate ad una pluralità indeterminata di
utenti, le stesse costituiscono un servizio di interesse generale e i relativi
beni vanno qualificati come cose di pubblica utilità, intese come serventi ad un
uso di pubblico vantaggio.
In ordine alla sussistenza della
causa di esclusione della pena di cui all'art. 51 cod.
pen.
La difesa dell'imputato ha chiesto
ritenersi la ricorrenza della causa giustificativa dell'esercizio di un diritto
(art. 51 Cod. pen.) muovendo dalla considerazione che, venendo operata la
ripetizione del programma estero di Telemontecarlo senza la necessaria
autorizzazione prevista dall'art. 38 d.P.R. n. 156 del 1973, la situazione di
T.V. Internationale non è degna di tutela, costituendo la relativa attività un
illecito penale ai sensi dell'art, 195 d.P.R. n. 156 del
1973.
Conseguentemente, l'attività di
Canale 10 consistita nell'occupazione della radiofrequenza da altri utilizzata
abusivamente dovrebbe considerarsi come estrinsecazione dell'esercizio di un
diritto.
Siffatta tesi non è
accoglibile.
La scriminante dell'esercizio di un
diritto presuppone la sussistenza di un diritto soggettivo, cioè dì un interesse
protetto in modo diretto e individuale dal diritto, tale che tutti gli altri
interessi con esso in conflitto debbono cedere e rimanere sacrificati (Cass. 7
novembre 1952, Maggio).
Tale non è la situazione di chi
intende occupare una cosa che suppone essere di nessuno perché abbandonata,
versandosi in tale ipotesi in una semplice posizione di aspettativa equiparabile
ad un mero interesse di fatto all'occupazione di un bene fino a quel momento
estraneo all'agente.
Il diritto soggettivo di proprietà o
di preuso sorgerà solo dal momento dell'occupazione della res nullius ma non
sussiste nella fase a tale momento prodromica dell'attesa di occupare il
bene.
Né, comunque, la scriminante opera
se il titolare supera i limiti dell'esercizio del diritto, quali sono desumibili
non soltanto dalla fonte da cui promana quel diritto, ma anche dal complesso
dell'ordinamento giuridico (Cass., Sez. III, 8 gennaio 1966,
Bargagnia).
Sotto tale ultima prospettiva,
essendosi verificata l'occupazione con violenza alle cose altrui, trattandosi di
violenza esercitata al di fuori dell'auto-tutela, si è al di fuori dei princìpi
generali regolanti l'esercizio della violenza e l'acquisto delle cose di
nessuno.
Un'occupazione di frequenza operata
in dispregio a trasmissioni via etere già in atto ad opera di altre emittenti,
concretandosi in un ricorso a vie di fatto comportanti inevitabilmente la
soppressione dei segnali irradiati dagli altri, integra una violenza sulle cose
priva di causa giustificatrice sotto il profilo penale.
Né appare conferentemente richiamata
dall'imputato la giurisprudenza della S.C. della Cassazione (Sez. I, 1° ottobre
1985, n. 1037 all. agli atti) secondo cui, concretando l'esercizio dell'attività
di ripetizione di trasmissioni estere senza autorizzazione attività penalmente
illecita, il conflitto fra una tale impresa illegale ed una successiva emittente
in ambito locale sulla medesima frequenza non può essere risolto in base al
criterio della priorità nell'uso del canale.
La S.C., con la sentenza predetta,
come si evince dal contenuto dell'intera motivazione (ricorso ex art. 700 cod.
proc. civ.), nell'affermare l’inutilizzazione di una preutenza illegittima, ha
risolto un conflitto di diritti in sede petitoria (ove un preuso illecito non è
opponibile come tale ad un concorrente che vanti un contrastante
diritto).
Ma tale principio non è estensibile
sul piano dello spoglio del possesso ove vige la tutela di fatto delle
situazioni consolidate e il principio spoliatus ante omnia restituendus,
soprattutto ove lo spogliante non agisca in autoreintegra ma eserciti la
violenza per la conquista di un canale televisivo.
Nel caso di specie, si verte in
ipotesi di violento impossessamento di cosa già materialmente posseduta da altri
configurabile nell'occupazione violenta della banda di frequenza già da altri
utilizzata con danneggiamento delle altrui onde radioelettriche: circostanza
integrante spoglio violento e non già autotutela.
E’ principio consolidato in
giurisprudenza quello secondo cui il possesso illegittimo di una cosa da parte
del detentore (in questo caso perché privo del necessario atto abilitativo da
parte della P.A.) non legittima lo spoglio o la turbativa violenta da parte di
un terzo estraneo; a maggior ragione il principio vale nel caso in cui questi se
ne voglia impossessare come se si trattasse di cosa
abbandonata.
Nel caso di specie di spoglio non si
può parlare per l'inidoneità materiale di una tale azione a sottrarre le onde
radioelettriche da altri diffuse nello spazio - posto che, fintantoché persiste
l'originaria irradiazione non è ipotizzabile una sottrazione totale della
frequenza. Peraltro, come si è già rilevato, l'attività di trasmissione sulla
stessa frequenza rileva sotto il profilo del danneggiamento delle frequenze da
altri diffuse, anche se illegittimamente.
Giova ricordare che la tutela penale
non ha riguardo al titolo della detenzione della cosa, perché scopo del diritto
penale non è quella dì riconoscere o regolare diritti soggettivi patrimoniali
tra le persone, bensì quello di reprimere fatti contrari alla sicurezza
patrimoniale in genere, considerati come manifestazione di criminosità del
soggetto attivo (ne cives ad arma ruant).
Quindi il danneggiante dev'essere
punito indipendentemente da ogni considerazione relativa alla qualità del
detentore, al titolo per cui questi eserciti la detenzione della cosa e alla
legittimità o meno del suo uso in base alle norme amministrative regolanti
l'esercizio dell'attività fattane.
E’, pertanto, meritevole di tutela
penale la violenza di fatto subita nel pacifico possesso di frequenza
radioelettrica da parte di emittente privata ripetitrice illegittimamente
programmi esteri, posto che lo spoglio violento di una cosa da altri posseduta
non è stretto nel nostro ordinamento da alcuna causa
giustificatrice.
Vale d'altronde osservare che la
situazione dell'emittente privata Telecentro Toscana è del tutto legittima posto
che l'esercizio di impianti di trasmissione di programmi via etere in ambito
locale è del tutto lecito anche se eseguito senza autorizzazione (Cass. 16
ottobre 1984, n. 1327).
Non ricorre pertanto la invocata
causa di giustificazione obiettiva.
Quanto all'elemento
soggettivo.
Per l'integrazione dell'elemento
soggettivo del delitto di danneggiamento, non è previsto il dolo specifico,
bastando il dolo generico.
Non occorre per l'esistenza del dolo
il fine specifico di nuocere, ma è sufficiente la coscienza e la volontà di
rendere in tutto o in parte inservibili cose mobili o immobili altrui (Cass. 5
giugno 1956, Esposito).
Com'è noto, il dolo ricorre nella
forma eventuale o indiretta allorché l'agente vuole un evento, ma ne prevede
possibile pure un altro e tuttavia accetta il rischio del suo verificarsi,
comportandosi anche a costo di determinarlo.
Tale è stato l'atteggiamento
psicologico dell'imputato nel caso corrente (cfr. interrogatorio in
istruttoria), essendosi egli ben reso conto d'interferire con le altrui
emissioni televisive nel tentativo di occupare il Canale 64, ma di avere
proseguito la propria azione nonostante la rappresentazione della possibilità di
danno alle cose mobili altrui.
Né la circostanza di avere agito
nell'erronea presunzione del proprio buon diritto a trasmettere sopprimendo le
trasmissioni illegittime altrui rileva sotto il profilo dell'esercizio putativo
di un diritto.
Invero, in tal caso, l'errore non
cade su di una circostanza di fatto (ad es. che il Canale fosse libero mentre
non lo era) ma sull'esistenza di una norma giuridica che legittimasse il proprio
operato.
Secondo la giurisprudenza di
legittimità, il convincimento di liceità in chi la norma abbia violato, si
risolve in un'ignoranza della legge penale la quale non può essere invocata come
scusa qualunque ne sia la causa, atteso il principio avente carattere
assolutamente inderogabile sancito dall'art. 5 cod. pen. (Cass., Sez. III, 18
febbraio 1971, Kavcic).
La scriminante putativa di cui
all'art. 51 cod. pen. non può, quindi, essere applicata a chi per errore
supponga esistente a proprio favore un diritto invece inesistente (Cass., Sez.
II, 1° aprile 1963, Vanich), perché l'erronea opinione della liceità del fatto
costituisce ignoranza della legge penale che tale fatto
sanziona.
Ricorrono, pertanto, gli estremi
oggettivi e soggettivi del reato di danneggiamento nell’ipotesi aggravata
dell'aver commesso il fatto su cose esposte per destinazione e necessità alla
pubblica fede e destinate a pubblica utilità, ai sensi del combinato disposto
degli artt. 635, comma 2, n. 3 e 625, n. 7 cod. pen., e, in difetto di cause di
giustificazione, reali o putative, l'imputato ne va dichiarato
responsabile.
2. Esercizio arbitrario delle
proprie ragioni con violenza sulle cose.
Presupposti indeclinabili del
delitto in parola sono l'esistenza di un preteso diritto e la possibilità di
ricorrere al giudice per farlo valere. Lo stesso si differenzia dal delitto di
danneggiamento, ove la condotta materiale produca l'evento di danneggiare cose
altrui, per la particolarità del fine specifico e per il fatto che l'agente
opera con il convincimento dì esercitare un suo diritto.
Non occorre che il preteso diritto
sia fondato ma che esso possa essere oggetto dì una contestazione giudiziaria:
resta escluso tale reato quando trattasi di una pretesa del tutto illegittima,
oppure quando sia impossibile il ricorso al giudice, di guisa che l'opinato
diritto non sia altro che un pretesto per mascherare altre finalità che si
vogliono conseguire con l'uso della violenza (Cass., Sez. II, 21 ottobre 1963,
Cubito).
In dottrina vi è contrasto
sull'ipotizzabilità del requisito della possibilità di ricorrere al giudice
allorché vi sia assoluta mancanza in astratto di una pretesa munita di azione,
ritenendosi per l’un verso (Manzini e Kostoris) sufficiente che l'agente ritenga
di esercitare un preteso diritto, per l'altro (Antolisei) necessaria la
sussistenza di un diritto azionabile.
La giurisprudenza è, nel senso che
il fine che ispira l'azione del soggetto sia la realizzazione di un diritto che
possa essere, comunque, oggetto di una contestazione giudiziale (essendo
sufficiente la mera possibilità di fatto di ricorrere al giudice (Cass., Sez.
III, 12 ottobre 1970, Lanzarini).
Nel caso in esame l'imputato non era
titolare di alcun diritto all'occupazione della banda di frequenza, ma di un
semplice interesse di fatto che, per le modalità violente con cui è stato
esercitato, esula dalle ipotesi tutelabili giuridicamente. Non solo, ma lo
stesso giudicabile era ben consapevole dell'irrilevanza giuridica della propria
posizione di semplice aspettativa, tanto che l'occupazione (e, con essa il
danneggiamento) è avvenuta al dichiarato scopo di costituirsi un diritto di
preuso da far valere nei confronti delle altre occupanti, come poi in effetti ha
fatto promuovendo immediatamente dopo azione civile volta al riconoscimento del
proprio diritto poziore.
Prima di tale momento, e cioè
all'atto del danneggiamento, nessun diritto tutelabile avanti al giudice
sussisteva in capo all'emittente Canale 10, né era esercitabile il diritto
d'azione in astratto per l'assoluta (e ben conosciuta) carenza di un interesse
attuale e concreto.
Non è, quindi, ipotizzabile nel caso
all'esame la sussistenza dell'elemento obiettivo del reato di cui all'art. 392
cod. pen., così come non sussisterebbe nell'ipotesi del ladro che pretendesse
impossessarsi della cosa altrui sul presupposto che sia illegittimamente
detenuta, per assoluto difetto di un preteso diritto.
Il reato, quindi, non esiste e trova
piena espansione la tutela penale prevista con il delitto di
danneggiamento.
L'imputato va, quindi, dichiarato
colpevole del reato di danneggiamento secondo l'ipotesi alternativa contestata
in imputazione e cioè in relazione alla tutela ordinaria disciplinata dall'art.
635. n. 3 cod. pen. in relazione all'art. 625, n. 7 cod. pen. Va, invece mandato
assolto dall'imputazione di cui al capo B) perché il fatto non
sussiste.
Allo stesso, in relazione alla
novità della materia ed allo stato d'incensuratezza, possono concedersi le
attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante ai
sensi dell'art. 69 cod. pen.
Visti i criteri di cui all’art. 133
pena adeguata appare quella di L. 600.000 di multa (P.B. = 500.000 + 100.000 per
81 cpv. cod. pen.).
Nella considerazione che per il
futuro si asterrà dal commettere ulteriori reati, possono concedersi al Rocchi
entrambi i benefici di legge.
Lo stesso va anche condannato al
risarcimento dei danni patiti dalle emittenti televisive danneggiate, con il
limite del solo danno emergente per quanto riguarda T.V. Internationale S.p.A.,
posto che la risarcibilità del lucro cessante incontra il limite dell'accertata
illegittimità della ripetizione di programmi esteri in difetto di autorizzazione
con la conseguenza che nessun diritto può essere fatto valere in ordine ai danni
subiti dalla mancata ricettibilità dei programmi illecitamente
trasmessi.
Giova, infatti, ripetere che
l'apprestata tutela penale non può intendersi tesa, neanche di riflesso, a
proteggere una situazione illecita, in quanto oggetto della stessa non è già il
diritto assoluto a non essere danneggiati nel pacifico possesso delle cose da
terzi che esercitino violenza sulle stesse.
Principio, questo, che costituisce
un caposaldo del nostro ordinamento giuridico (artt. 1168 cod. civ., 392, 624,
635 ecc. cod. pen.).
Segue la condanna alle spese di
costituzione e di difesa delle parti civili che si liquidano nella somma di L.
2.050.000 a favore di ciascuno dei danneggiati.
Non ricorrono gli estremi per
disporsi la confisca delle apparecchiature utilizzate dall'imputato per
commettere il reato, posto che il loro uso da parte di emittente privata in
ambìto locale è consentito dalla legge e non integra, quindi; un'ipotesi di
confisca obbligatoria ai sensi dell'art. 240 cod. pen.
P.Q.M. - Il Pretore dichiara Rocchi
Egidio colpevole del reato ascrittogli al capo A) dell'imputazione, con
esclusivo riferimento all'ipotesi di cui all'art. 635, n. 3 cod. pen., con
attenuanti generiche prevalenti alla contestata aggravante e letti ed applicati
gli artt. 483 e 488 cod. proc. pen. lo condanna alla pena di L. 600.000 di multa
oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni verso le
parti civili, con il limite del solo datino emergente nei confronti di Barsanti
William, nonché al pagamento delle spese di costituzione e di difesa delle parti
civili che si liquidano in L. 2.050.000 a favore di Montagni Mauro e in L.
2.050.000 a favore di Barsanti William.
Visti poi gli artt. 163, 175 cod.
pen. 487 cod. proc. pen., ordina che l'esecuzione della pena suindicata rimanga
sospesa fino al termine di anni cinque e che non sia fatta menzione della
condanna nel certificato del casellario giudiziario sotto la comminatoria di
legge.
Visto l'art. 479 cod. proc. pen.
assolve Rocchi Egidio dall’imputazione di cui al capo B) perché il fatto non
sussiste.